«Ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile ad un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52)
N.4 - Luglio-Agosto 1999
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Spiritualità

Convergenza

di Arturo Scaltriti (*)

Recentemente, al termine di una tre giorni di studio, nel "pianeta" Piemonte, un docente universitario di media età – pareva un Antonio Rosmini laico sull’onda del ricupero storico di Maestro Eckhart – fece la seguente proposta di lavoro: cercare un punto di convergenza tra la destra gagliarda e feroce, la sinistra cinica e crudele, i tiepidi di centro, parassiti e profittatori, il cancro del sangue della società civile, da sempre.
Per quanto fantastica sia una tale proposta, il punto c’è, si trova nell’abisso dell’essere, e pure ha un nome: è l’atto di esistere. Qui ogni uomo – e tutti uomini siamo! – può ritrovare se stesso, con socratica saggezza, la propria persona, libera e sovrana. I romani ne colsero l’essenza pratica – non senza assistenza della Divina Provvidenza – e la chiamarono "res". San Tommaso d’Aquino ne rifinì il concetto metafisico e teologico dicendo che l’atto di esistere è quanto di più intimo è nell’uomo e gli viene direttamente da Dio. Certamente ci vuole un pugno di uomini colti, intelligenti e probi – la minoranza eroica di Gian Battista Vico – i quali aprano l’alveo della storia e trascinino dietro di sé il genere umano: il quale poi farà da sé "con coscienza e arte civili".
Ma posto che questo sia accettato comodamente – e lo dovrebbe perché è oggetto proprio sia della ragione metafisica, sia della ragione etica – resterebbe ancora tutto da fare. È necessaria una leva che, facendo perno sul punto giusto, sollevi il mondo e lo riporti nell’ordine cosmico. E questo perno è Cristo. Non c’è alternativa. C’è piuttosto un’interdipendenza, alla radice dove si annodano natura umana e natura divina: oggetto di Ragione la prima, di Fede sovrannaturale la seconda.
La ragione può, in forza del suo atto di esistere, raggiungere quel limite che le è proprio, e che è altissimo. Può creare imperi, lasciare scolpite nelle rocce e tracciare in graffiti sulle pareti, memorie di cui la cultura dei posteri è ghiotta. Ma, giunta a quel limite, la natura vacilla, sia perché ha i piedi di creta, sia perché, lasciata a sé, patisce vertigini. E cade, precipita là da dove s’era elevata con secoli di travaglio e di tragedie, riprendendo il tentativo di conquistare e possedere il creato.
Questa legge fu rilevata dagli intelligentissimi Greci e tramandata sotto forma di favole famose: Sisifo, Tantalo, le Danaidi, Narciso, il Prometeo, il mitologico Saturno. I non indegni emuli moderni hanno riesposto in termini nuovi la questione. Leopardi ha il disperato lamento: "o natura, o natura, perché di tanto inganni i figli tuoi?" ("A Silvia"). Machiavelli scrive "Il Principe" per "temprare lo scettro ai regnatori" (Foscolo), ma diventa il breviario di tutti i tiranni. Kant, il re della critica, rimane bloccato dall’agnosticismo. Kafka vede l’uomo come uno zimbello nel "Castello" e fuori è solo "Metamorfosi". Con un genio formidabile Nietzsche reagisce contro questa maledizione e crea il "superuomo" – il quale pur esiste là dove Dio si fa uomo affinché l’uomo diventi Dio – ma da Nietzsche nascono soltanto Hitler e Mussolini. Il socialismo scientifico (comunismo) crea l’impero sovietico, ma al momento di dare la marxistica "spallata" che farebbe cadere in un istante il capitalismo, svanisce – è proprio la parola esatta – in pochi giorni, come in una nuvola malefica. È un monito per l’altro colosso "scientifico", la Comune cinese.
Cristo è il Verbo di Dio fatto uomo. Ha in sé l’archetipo di tutte le creature, quindi tutte sussistono in lui. Platone aveva intravisto più che qualcosa con il suo "Logos". Ma Cristo rivelò il limite del grande ateniese, con la stessa Luce con cui abbatté e acciecò l’Ebreo di Tarso sulla via di Damasco per farne il suo più grande apostolo. Così Platone, riletto in questa Luce salirebbe certamente a quelle vette cui bramava. È la Luce con cui Gesù illuminò Elia e Mosè, Pietro, Giacomo e Giovanni in estasi ai suoi piedi, nella Trasfigurazione del Tabor.
Tutte queste cose va insegnando il Vescovo di Roma Giovanni Paolo II, in tutte le sue encicliche, con audacia polacca.
Tutte furono annunciate 500 anni or sono dal Servo di Dio Girolamo Savonarola, con un’infaticabile predicazione apostolica e profetica che lo Spirito Santo decorò, quale sigillo di Verità, con la palma del tanto bramato martirio.

(*) Padre Arturo Scaltriti, dell’Ordine dei Frati Predicatori

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S. Caterina da Siena